PRESENTAZIONE

 

Ciao a tutti!

Ho aperto questo blog per far conoscere il mio libro “Per un’economia responsabile”.

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Vi invito a leggere alcuni estratti del libro che troverete scorrendo il blog.
Se gli argomenti che tratto sono di vostro interesse potete trovare il libro sia in versione cartacea che in versione ebook. Il libro è distribuito in copyleft, quindi liberamente trasmissibile ad altri. Ecco alcuni link per l’ebook:

 

La versione cartacea è ordinabile in oltre 4.500 librerie fornendo il codice ISBN 9788892678880 (al seguente link la mappa delle librerie affiliate a youcanprint   www.youcanprint.it/librerie-in-italia-self-publishing.html )

E’ inoltre disponibile sulla maggior parte dei bookstore online. Ecco alcuni link da cui poter ordinare il libro:

 

Di seguito un breve riassunto dei contenuti del libro.

Partendo dall’esaminare brevemente la principale causa dei mali dell’economia attuale, ossia la scarsa redistribuzione della ricchezza, il libro individua come possibile soluzione per uscire dalla crisi quella di spingere le imprese ad assumere un comportamento più responsabile socialmente. Ma non può essere più demandato alla classe dei lavoratori, disgregatasi a seguito dei processi di globalizzazione, il compito di pretendere dalle imprese un comportamento più etico. È su un’altra classe di soggetti che occorre puntare: i consumatori. Se essi prenderanno pienamente coscienza della loro forza, grazie anche all’adozione di alcuni strumenti che li agevolino nell’esercitare un consumo consapevole, potranno influenzare l’operato delle imprese nel senso di una maggiore eticità portando così all’affermazione di un’Economia Responsabile. Un cambio di rotta nel comportamento delle imprese, oltre che auspicabile per l’esigenza di redistribuire maggiormente alla comunità la ricchezza creata, si rende necessario per l’insostenibilità ambientale ed energetica dell’attuale modello neoliberista, fondato su un indicatore obsoleto come il PIL.

Estratto n.1

INTRODUZIONE

“È il mercato…”.
Avrete certamente sentito questa frase, detta magari con tono auto-assolutorio da certi imprenditori o politici per giustificare politiche volte alla compressione dei diritti.
Talvolta a dirla, con tono rinunciatario, sono quelle persone che, pur subendo le conseguenze di questo sistema economico, finiscono per rassegnarsi all’idea che non ci siano alternative.
Il messaggio che tale frase vuole trasmettere è il seguente: dobbiamo prendere il mercato per quello che è e non cercare di cambiarne le regole, ma adeguarci ad esso, anche se questo significa tutelare di meno i lavoratori, l’ambiente, i consumatori.
Io ritengo, invece, che il mercato non sia una realtà immutabile. Possiamo cambiarlo, migliorarlo, se vogliamo, perché il mercato siamo noi.

Nel corso di questo libro vedremo come sia possibile cambiare le regole affinché il mercato non sia più sinonimo di avidità, spinta ad un punto tale da arrivare a calpestare la vita delle persone ma, al contrario, diventi sinonimo di responsabilità. Perché ciò sia possibile occorre spingere le imprese ad assumere un comportamento più responsabile socialmente, dal momento che le loro attività incidono pesantemente sul benessere degli individui in quanto lavoratori, consumatori e fruitori, nonché proprietari, della risorsa ambiente.

Estratto n.2

LA TRAPPOLA DELLA CRESCITA.

Ancora oggi c’è chi sostiene che redistribuire la ricchezza rappresenti un problema secondario, che la cosa più importante sia che l’economia cresca, che aumenti la quantità di merci e servizi prodotti.
Nelle campagne elettorali, l’obiettivo principale dichiarato dai partiti, tanto di destra quanto di sinistra, è quello della crescita del PIL, della ricchezza nazionale. Sono in molti, infatti, a sostenere che la crescita dell’economia offra la possibilità di garantire benessere a tutti senza che sia necessario imporre grandi sacrifici a coloro che hanno maggiori ricchezze.
Per tanti anni, dunque, si è deciso di non affrontare il problema di una più equa redistribuzione della ricchezza cullandosi sull’idea, divenuta oggi irrimediabilmente un’illusione, che si potesse far crescere in maniera illimitata la “torta” della ricchezza (il famoso PIL) e che a nessuno sarebbe mancata la sua fetta.
È accaduto, così, che molti Governi abbiano rinunciato ad effettuare più stringenti politiche redistributive, drenando solo in piccola parte risorse dalle classi ricche per soddisfare le esigenze delle classi sociali più svantaggiate.
I governanti, seguendo la ricetta liberista, hanno lasciato che gran parte della ricchezza restasse nelle mani di chi l’aveva conseguita, nella convinzione che questa fosse costantemente reinvestita in nuove attività produttive che avrebbero dato nuove occasioni di lavoro a chi ne era rimasto senza, mettendo in atto una redistribuzione, seppur indiretta, della ricchezza esistente (parlerò più in dettaglio di ciò nel prossimo paragrafo).
Il convincimento che si potesse perpetuare all’infinito questo meccanismo di reinvestimento dei profitti ottenuti in nuove attività produttive, secondo la logica della crescita continua, ha portato ad un’economia che si è gonfiata a dismisura, un’economia elefantiaca, assetata di ogni tipo di risorse, che ha bisogno che tutto ciò che viene prodotto venga consumato.
Ciò che ne è derivato è il consumismo in cui siamo immersi, che è divenuto una forma di redistribuzione della ricchezza, anche quando si traduce nell’acquisto di prodotti inutili o dannosi.
Così, quando i consumi sono sostenuti, una maggiore quantità di denaro viene spesa e, quindi, viene redistribuita all’interno della società. Invece, nel momento in cui il livello dei consumi si contrae, una parte delle imprese è costretta a fermare la produzione e a licenziare i lavoratori, col risultato che aumenta la disoccupazione e diminuisce la ricchezza nazionale.
È per questo motivo che la crescita può essere considerata come una trappola, perché fa dipendere strettamente il livello di occupazione dal livello dei consumi, cosicché consumare grandi quantità di merci diventa per noi qualcosa di doveroso, un vero e proprio dovere sociale.